Le proprietà fisiche del territorio trovavano in me una corrispondenza. I sentieri che mi ritrovavo a percorrere conducevano esternamente a colline e acquitrini, ma avevano uno sviluppo anche interiore. E dallo studio del suolo, dal leggere e dal pensare derivò una sorta di esplorazione, in me stesso e nella terra che col tempo nella mente diventarono un tutt'uno.
Con la forza accentratrice della cosa essenziale che si realizza in terreno prematuro, si affacciò in me un anelito tenace e appassionato: gettare via il pensiero, per sempre e con tutte le noie che ne derivano, per conservare soltanto il desiderio immediato, diretto e urgente. Avviarsi lungo il sentiero senza voltarsi indietro. Che andassi a piedi, con scarponi o in slitta, fra le ombre tardive e raggelanti delle colline d'estate, una fiammata in alto o un percorso nella neve avrebbero indicato dove sarei andato. E che il resto dell'umanità mi trovasse se ne fosse capace.
John Haines,
“The stars, the snow, thefire:
twenty-fìve years in the
northern wildemess”
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